a routine quotidiana ci porta ad essere sempre di fretta. Siamo come maratoneti che corrono veloci verso un traguardo che molte volte non rappresenta il vero obiettivo della nostra vita. E in questo nostro procedere sfrenato, non ci accorgiamo che spesso passiamo via veloci e distratti davanti alle piccole ma importantissime sfaccettature che la vita ogni giorno ci dona e che meriterebbero una maggior considerazione e dedizione.
Il vino è uno di quei doni della natura che non si possono liquidare con una breve rotazione del bicchiere e qualche furtiva “sniffata” che ci porta poi a sentenziare con piglio professionale come siano chiaramente identificabili, i sentori della mela golden (magari proprio di quella comprata in offerta nel supermercato sottocasa) o che magari abbiamo riconosciuto nel sauvignon, la pipì del gatto siamese che puntualmente ogni giorno viene ad innaffiarci i fiori in giardino.
Il vino è storia, cultura, passione ed entusiasmo e quando apriamo una bottiglia, nel bicchiere si sprigionano i profumi centenari di una famiglia, i sacrifici e il sudore versato, ed è nostro dovere morale avvicinarsi sempre con rispetto e umiltà a quel nettare dionisiaco che poi ci ricompensa donandoci infinite emozioni. Il Collio è sempre generoso quando si parla di vino e di grandi famiglie che hanno dato lustro alla loro terra. Fra le marne e arenarie di Pradis, frazione di Cormons, sono andato a conoscere l’azienda di Roberto Picéch e i segreti dei suoi emozionanti vini.
La storia della famiglia Picéch trova i suoi albori nel 1920, quando i nonni di Roberto si trasferiscono a Pradis per lavorare come mezzadri dai nobili De Savorgnan, una famiglia di proprietari terrieri molto nota localmente. Passano gli anni e la successiva generazione, vede come protagonisti Egidio, sopranominato il “Ribel” per la sua indole battagliera ed energica, e Jelka dolce moglie che regalerà alla famiglia i nuovi sorrisi delle figlie Lida, Bruna e del terzogenito Roberto.
Gli anni del dopoguerra sono difficili e duri, ma sono anni dove c’era voglia di rinascere e di costruire un futuro migliore per sé e per le nuove generazioni, ed è così che nel 1963 i Picéch decidono di rilevare la proprietà dell’azienda agricola ed iniziare quel processo di trasformazione che li porterà a dedicarsi quasi esclusivamente alla produzione vinicola.
Roberto entra in scena da protagonista nel 1989, quando prende in mano le redini dell’azienda, iniziando a dare un’impronta personale al modo di lavorare in vigna e in cantina, ponendo le basi per quello che oggi rappresenta il suo sogno compiuto, un’azienda efficiente che nel rispetto della natura e delle sue leggi è in grado di produrre degli ottimi vini.
Il trascorrere del tempo e della vita ha poi portato molte novità in famiglia. Infatti, colonna portante dell’azienda è diventata la moglie Alessia che dà il suo preziosissimo aiuto nelle varie attività e al tempo stesso fa da amorevole mamma ai due nuovi piccoli arrivati, Athena e Ruben. Ad oggi, l’azienda può contare su circa 7 ettari vitati (5 a Pradis e 2 a Cormons) che oltre godere di un terreno ideale per la coltivazione della vite, immerso nella natura e circondato dai boschi, può beneficiare di un microclima e di un’insolazione perfetta che farebbero la felicità di qualsiasi viticoltore (e magari anche di qualche amante della tintarella perenne).
Il codice etico e professionale che si è imposto Roberto, prevede il massimo rispetto per la natura in ogni lavorazione in vigna. Non vengono usati diserbanti e le concimazioni sono dosate con scrupolo intervenendo solo quando strettamente necessario. L’obiettivo è quello di portare in cantina delle uve sane e di elevata qualità, unica strada possibile per ottenere vini di assoluto pregio che possano anche durare nel tempo. Dopo la vendemmia, le uve sono accolte nella nuova e funzionale cantina interrata, operativa dal 2006, una struttura moderna a sezione circolare, posta su due piani. Un progetto moderno che però si è posto come obbiettivo principale, quello di rispettare la filosofia produttiva di Roberto creando al tempo stesso un habitat ideale per poter lavorare con cura ed efficienza.
Le uve giungono velocemente a destinazione dopo la raccolta, vengono disparate e ritornano al piano superiore, dove ci sono botti in legno pronte ad accogliere i mosti per le fermentazioni e le varie macerazioni che verranno scrupolosamente pianificate. La successiva svinatura avviene a caduta, senza utilizzo di pompe e senza stress per il vino, pronto poi ad affrontare la maturazione e l’affinamento nei vari legni o nei contenitori in acciaio. Ma quali sono i vini che vengono imbottigliati, conservati in un’ideale alcova adiacente alla cantina, e poi finalmente commercializzati per la gioia delle nostre assetate papille gustative?
A fare la parte del leone sono naturalmente i bianchi che coprono i due terzi delle circa 30mila bottiglie che vengono annualmente prodotte. Si può iniziare deliziandoci con un raffinato Pinot Bianco, o con l’aromaticità della Malvasia. Entrambi subiscono una macerazione in acciaio di circa 10 ore sulle bucce e poi vanno a maturare per 6 mesi sui propri lieviti.
La proposta del Friulano è doppia. Una piccola produzione di nicchia, imbottigliata solo nel formato magnum, và a rendere onore alla figlia Athena. Si tratta di un vino che fermenta sulle proprie bucce in tini di legno per 10-12 giorni, senza controllo della temperatura e senza l’utilizzo di lieviti selezionati. Dopo la pressatura il vino ottenuto viene affinato in botte grande, dove permane per più di un anno. Viene poi commercializzato anche un Friulano “fresco” vinificato principalmente in acciaio al quale viene poi assemblata una parte prodotta in legno per donare alla freschezza del vino anche qualche sfumatura più complessa e morbida.
Vero fiore all’occhiello della produzione aziendale è l’assemblaggio Jelka, vino creato in onore e memoria della madre alla quale Roberto era legato in maniera particolare. Si tratta di un mix delle uve Tocai Friulano (circa 40%) Ribolla Gialla (circa 40%), Malvasia (circa 20%) tutte tipologie simbolo della zona. Il Tocai Friulano fermenta sulle proprie bucce in tini di legno per 10-12 giorni, senza controllo della temperatura e senza l’utilizzo di lieviti selezionati, mentre la Ribolla Gialla e la Malvasia fermentano in acciaio. Il successivo affinamento viene eseguito in botte grande e in tonneau e dopo circa 10 mesi viene eseguito l’assemblaggio in botte dove il vino vi permane fino all’imbottigliamento.
Collio significa soprattutto eccellenze in bianco, ma a sorprendere sono anche le due proposte in rosso di casa Picéch. Il Collio Rosso è un assemblaggio dove predomina il Cabernet Franc unito a piccole preziose percentuali di Merlot e Cabernet Sauvignon “rubate” dalle botti che andranno a creare il Collio Rosso Riserva. Viene effettuata una macerazione di circa 25 giorni con ripetuti rimontaggi giornalieri, e successivamente si travasa il vino in contenitori di acciaio dove attende pazientemente di essere imbottigliato.
Ma il pezzo da novanta è il già nominato Collio Rosso Riserva, un assemblaggio di 80% Merlot e 20% Cabernet Sauvignon prodotto solo nelle annate migliori. Si tratta di un vero e proprio uvaggio, in quanto le uve vengono vendemmiate e vinificate in contemporanea. Dopo una lunga macerazione in tini di legno, il vino viene affinato per circa 24 mesi in botti grandi e tonneau prima di ritornare in acciaio per essere poi imbottigliato.
Un’autentica rivelazione, un rosso che mi permetto di dire non ha nulla da invidiare a altri suoi quotati colleghi di altre vocate regioni italiane. Io ho avuto la fortuna di assaggiare l’annata 2004 e quella 2008, ancora da imbottigliare (sarà dedicata al nuovo arrivato, il piccolo Ruben), in abbinamento a un delizioso risotto al Collio Riserva 2004 con scaglie di formaggio di fossa, piatto prodotto dalla brava Alessia che memore dei trascorsi lavorativi presso il ristorante “La Subida” di Josko Sirk, si è divertita a deliziarmi con le sue virtù culinarie. Che dire! Nel mio dialetto avrebbero commentato: Magnar e morir!
Come sempre il tempo è passato via velocemente senza che me ne accorgessi. Questa volta forse ancor più velocemente, visto che fra un assaggio, una chiacchiera e un boccone di risotto si è fatto proprio tardi. Ma è proprio bello quando si ha la possibilità di stare in un posto accogliente con persone simpatiche e disponibili, scoprire degli ottimi vini e fare dei discorsi che la progressione degli assaggi fa diventare sempre più profondi e impegnativi. In questi momenti ti accorgi come sia bello riuscire a divincolarsi dalla frenesia della vita quotidiana e riuscire a dedicarsi con calma alle piccole gioie ed emozioni, come lo sono il vino e i rapporti umani, che la vita ci riserva.
DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO
Terzogenito e unico figlio maschio hai dovuto prendere ben presto in mano le redini dell’azienda. Ma è sempre stato questo il tuo mondo preferito o da adolescente celavi qualche sogno segreto?
Avevo tanti sogni ma questo lavoro mi è sempre piaciuto sin da piccolo. Avevo un rapporto un po’ difficile con mio padre e se non ho mollato tutto e ora sono qui a portare avanti il lavoro della mia famiglia, lo devo molto a mia madre. Io avrei voluto frequentare la scuola di enologia, ma ai tempi per mio padre lo studiare era una cosa secondaria, bisognava innanzi tutto lavorare in vigna. In generale comunque mi piacciono i lavori manuali, fare il norcino, il piastrellista, se non avrei fatto il vignaiolo avrei potuto sbizzarrirmi e fare tante altre cose.
Sei un produttore che segue il suo istinto e la propria filosofia produttiva. Ma non ti sei mai lasciato condizionare dalle mode del momento e dal vento che tirava nei mercati?
Purtroppo, o per meglio dire per fortuna, no. Pur cambiando il mio modo di lavorare, sperimentando percorsi diversi e qualche volta anche sbagliando, sono sempre stato contro le mode proprio per come sono fatto, per il mio carattere. Diffido sempre dei “guru” che popolano il settore perché ritengo che nessuno abbia la verità in tasca. E’ giusto che ognuno abbia una propria filosofia e segua il proprio istinto.
Il complimento che ti fa più piacere quando parlano dei tuoi vini.
Mi piace sentirmi dire che i miei vini sono riconoscibili fra tanti, che non significa essere più buoni, ma avere comunque delle caratteristiche e particolarità che li fanno associare al produttore.
Utilizzi la Malvasia nella composizione del tuo Collio Bianco, in purezza, e un tempo nel Passito di Pradis, vino che ora non produci più. Non sarà mica che questo è il tuo vitigno preferito?
Gli ultimi vigneti che ho impiantato sono di Malvasia, e con l’avvio delle nuove produzioni sarà la varietà con i numeri maggiori. Devo ammettere che è un vitigno che amo molto e per il quale ho un occhio di riguardo.
Sei fra i soci del progetto “Piccolo Collio”, associazione che unisce i produttori di specialità gastronomiche, vignaioli e ristoratori del territorio per offrire un’ampia e coordinata offerta di turismo enogastronomico e culturale. Pensi che il territorio stia riscuotendo i consensi meritati oppure c’è ancora tanto da lavorare per far conoscere il Collio e le sue eccellenze anche al di fuori dei confini regionali?
C’è ancora tanto da lavorare. Il progetto “Piccolo Collio” non vuole sostituire o entrare in competizione con il Consorzio Collio. Il territorio non è fatto grande solo dai produttori di vino, ma da tutti quei personaggi che lavorano con impegno e sacrificio nei vari settori del tessuto economico locale. Il vino rappresenta la parte più importante ma non è meno rilevante il lavoro di tutti gli operatori del settore turistico, gastronomico e culturale. Si tratta di lavorare assieme e di fare sistema superando i piccoli campanilismi. Un progetto a cui io credo molto. Mi viene in mente un aneddoto di un mio viaggio a Saint-Émilion nel bordolese. Alla mia domanda rivolta a un francese, dove gli chiedevo dove potessi andare a bere un buon vino, la risposta fu eloquente: qui si beve buon vino dappertutto! Ecco cosa significa fare sistema.
Tuo padre Egidio era sopranominato “il ribel.” Apparteneva a quella generazione di grandi uomini e lavoratori che hanno risollevato le sorti del territorio nel dopoguerra, conflitto fra l’altro vissuto da protagonista come partigiano. Cosa ti ha lasciato dentro di te e quale è stato l’insegnamento più importante che ti porti appresso?
Con mio padre ho avuto un rapporto qualche volta difficile, lui ha fatto la guerra, è stato partigiano ed aveva un carattere battagliero e fiero. Da lui ho imparato a non scendere a compromessi e ho ereditato quella dose di testardaggine che ti porta a credere anche a qualcosa che alle volte sembra più grande di te.
Il nome Collio viene da sempre associato alle eccellenze in bianco. Tu produci anche due importanti assemblaggi rossi, ma allora si possono produrre anche ottimi prodotti di questa tipologia nella tua terra?
E’ normale che risponda che il Collio è un territorio dove si producono le eccellenze bianche, ma il terreno e il clima è buono anche per produrre degli ottimi rossi, ed io ci credo visto che rappresentano 1/3 della mia produzione. Già mio padre negli anni ’60 coltivava una vigna mista da cui produceva un vino curiosamente chiamato “Bordò” (scritto tale e quale in etichetta per facilitare la pronuncia agli amici non esperti del lessico d’oltralpe) composto naturalmente da Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Dobbiamo inoltre ricordarci, che avendo qui vicino la tenuta di Villa Russiz, le varietà internazionali fecero la loro comparsa già 150 anni fa per merito del Conte francese Teodoro de la Tour che le importò dalla terra natia quando divenne proprietario della tenuta.
Speri che nel futuro dei tuoi figli Athena e Ruben ci sia la continuità aziendale, o ti auguri qualcosa di diverso per il loro avvenire professionale?
Naturalmente non li obbligherò con la forza a seguire la mia strada, ma è ovvio che visti tutti i sacrifici che stiamo facendo per migliorare e far crescere la nostra azienda, la speranza è che in futuro anche i miei figli diventino colonne portanti del progetto Picéch, sempre nel rispetto di quei valori per la natura e la terra che la nostra professione deve mantenere.
Che progetti nel futuro di Roberto Picéch e della sua azienda?
Stiamo ultimando un ristoro agrituristico adiacente alla nostra cantina e abitazione. Quest’anno daremo la possibilità agli ospiti di pernottare in un appartamento e in quattro stanze di cui una situata in una torretta che permette di godere di una splendida vista sui nostri vigneti. Il nostro obbiettivo e quello di comunicare un certo stile di vita alle persone che saranno nostre ospiti. Cercare di vivere in maniera semplice e genuina a stretto contatto con la natura, sedersi ad ammirare un tramonto, magari degustando un buon calice di vino, parlando cordialmente scambiandosi le proprie idee ed opinioni, senza fretta, lontani dallo stress e dalla frenesia della vita quotidiana.
Oltre al vino, quali sono gli hobby e le passioni di Roberto?
Visto che in questo momento sono impegnato in prima persona nella realizzazione dell’alloggio agrituristico, sono diventato un palchettista provetto, più per necessità che per hobby. Poi mi piace nuotare e in questo periodo mi dedico molto alla comunicazione, per portare avanti il progetto “Piccolo Collio”. Comunque l’impegno in azienda non mi permette di avere tanto tempo libero da dedicare a tutte le mie passioni.
Facciamo solo un’ipotesi fantascientifica, tanto per non far arrabbiare tua moglie Alessia. Che personaggio femminile famoso ti piacerebbe conoscere e con quale vino allieteresti questo emozionante momento? (Per la cronaca, la moglie Alessia, presente al momento della domanda, aveva suggerito la Ferilli)
Al di là della passione giovanile per la Ferilli, mi piacerebbe conoscere Luciana Littizzetto, persona che unisce una divertentissima ironia a una grande intelligenza. Anche se lei è piemontese, terra di grandi rossi, io degusterei un vino spumante, perché frizzante e allegro come il suo modo di essere e di fare.
Dal sito www.lavinium.com
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